il latte materno rappresenta il miglior alimento esistente per i neonati fino ai 6 mesi di vita, momento in cui il loro sistema immunitario diventa abbastanza maturo. A differenza del latte in formula, la cui composizione è standardizzata, il latte materno cambia la sua composizione durante tutto il periodo dell’allattamento in base ad una serie di fattori. La sua composizione è infatti influenzata in base a fattori genetici ed ambientali (come lo stato di salute della mamma e il suo stile di vita), il sesso del bambino, lo stato infettivo, il mese di allattamento e addirittura il momento della giornata in cui avviene la produzione di latte (es: presenterà più grassi durante la mattina e meno durante la notte).
È chiaro dedurre di come il latte materno sia praticamente insostituibile da un qualsiasi latte di formulazione, che dovrebbe essere usato solo in caso di reale bisogno.
Vediamo ora più da vicino quali sono le caratteristiche che rendono il latte materno un alimento quasi magico:
prima di tutto il latte materno cambia nella sua composizione durante l’avanzare dell’allattamento. Inizialmente il primo latte prodotto si chiamerà colostro, il quale è un latte ricco in proteine, di molecole bioattive (immunoglobuline) e di fattori di crescita, che gli doneranno un ruolo soprattutto immunologico. Si passerà poi ad un latte di transazione il sui contenuto proteico inizia a calare, mentre i grassi e il lattosio andranno ad aumentare. La percentuale dei vari macronutrienti andranno così a variare finchè non si raggiungerà il latte maturo, più ricco in grassi e lattosio e a basso contenuto proteico.
Anche sui macronutrienti che compongono il latte c’è poi tanto dire. Dei lipidi sono particolarmente importante dei grassi a catena corta che saranno fondamentali per la maturazione del tratto gastrointestinale e per il corretto sviluppo del sistema nervoso centrale. In più hanno la capacità di inattivare alcuni patogeni (streptococco). Invece della quota glucidica sono particolarmente importanti degli oligosaccaridi con funzione prebiotica, che preverranno sia la diarrea che le infezioni del tratto respiratorio (di particolare importante in questo periodo). Tra gli oligosaccaridi ci sono anche importanti immunomodulatori che impediscono l’adesione di alcuni patogeni al tratto intestinale. Infine il latte materno contiene anche dell’azoto non proteico che si trova per esempio sotto forma di nucleotidi, il quale sarà indispensabile per lo sviluppo, la maturazione e la riparazione del tratto gastrointestinale e dello sviluppo del microbiota.
Bisogna però tener conto che la composizione del latte materno dipende anche molto dall’alimentazione seguita dalla mamma, e che se la mamma andrà in contro a carenze alimentari, anche il latte materno rispecchierà le stesse carenze.
Cerchiamo in questo periodo di caldo opprimente e quasi debilitante di trovare ristoro in qualche modo: un bagno a mare o in piscina, stenderci in un posto ombreggiato possibilmente ventilato o assaporare qualcosa di fresco e rinfrescante, come può essere un ghiacciolo. Dalla mia esperienza ho capito che troppo spesso il ghiacciolo viene considerato alla stregua dell’acqua. Si pensa che non sia calorico e che non abbia nessun impatto sul nostro peso. Cerchiamo di capire invece cosa contiene e se può essere una merenda idonea per noi o da proporre ai nostri figli.
Sicuramente l’ingrediente principali è l’acqua, seguita però da zucchero, succo di frutta (in bassissima percentuale), aromi, coloranti, addensanti, etc…
Quindi anche se le calorie di un ghiacciolo non sono eccessive e possono essere simili a quelle di una merenda corretta, la sua composizione lascia invece molto a desiderare. La quota di fibra è nulla rispetto a quella presente in un frutto mangiato intero, il contenuto di zuccheri è nettamente superiore e tutto ciò porterà ad un più alto picco glicemico (a breve scriverò un articolo sull’importanza di tenere sotto controllo la glicemia). Non parliamo poi di tutto le altre sostanze aggiunte come coloranti e addensanti non presenti in un frutto e del fatto che sia praticamente privo di tutte le vitamine presenti invece nella frutta.
Fortunatamente esistono delle alternative. Qui di seguito vi pubblico la foto di un ghiacciolo fatto in casa per i miei figli. Semplice e veloce da preparare e anche senza stampini (li dovrò comprare), ma con un bicchiere e una forchettina di plastica sono riuscita a dargli una forma accettabile.
Come unico ingrediente c’è la pesca… et voilà, la fibra e le vitamine vengono conservate, l’impatto glicemico è moderato e la necessità di rinfrescarsi è soddisfatta.
Ormai da tempo è risaputo e, tutte le linee guide lo indicano, che per stare bene bisogna mangiare più volte al giorno verdura. Il segreto di questo gruppo di alimenti risiede in molte sostanze contenute in esse che lavorano attraverso una cooperazione sinergica per donarci salute, come i polifenoli, fitosteroli, betaine, coline, etc… Tra queste molecole spicca anche l’Inositolo, una molecola simile al glucosio, molto rappresentata in alimenti di origine vegetale come i legumi, verdure e cereali integrali, e che si trova sotto forma di fitati.
I fitati sono stati per lungo tempo considerati degli antinutrienti della fibra, cioè sostanze che hanno la capacità di legarsi ai sali minerali rendendoli meno biodisponibili, portando così ad eventuali carenze. In realtà si è visto che questo effetto antinutrizionale emerge solo quando grandi quantità di Inositolo vengono ingerite in combinazione ad una dieta squilibrata e povera di minerali.
Scongiurato e chiarito i possibili dubbi sui fitati ed in particolare dell’Inositolo mi vorrei soffermare in quest’articolo sui numerosi vantaggi ad esso correlati:
-l’Inositolo stimola la produzione di lecitina, portando ad una diminuzione del colesterolo e soprattutto nel fegato svolge una funziona lipotropa, cioè di mobilizzazione dei grassi epatici, evitando così l’accumulo di grasso nel fegato.
-l’Inositolo è necessario per il corretto funzionamento di alcuni neurotrasmettitori come la serotonina e l’acetilcolina. Ricordiamo che una carenza di queste sostanze può portare a stati di ansia e depressione. Quindi l’Inositolo è un ottimo aiutante per chi, per esempio, soffre di depressione e attacchi di panico.
-uno dei ruoli di maggiore rilevanza dell’Inositolo è quello di migliorare la sensibilità all’insulina, prevenendo e combattendo lo sviluppo di diabete, sindrome dell’ovaio policistico e obesità. Purtroppo una dieta occidentale ricca in zuccheri semplici, provoca una carenza di Inositolo. Infatti il glucosio aumenta la degradazione dell’Inositolo e diminuisce la sua biosintesi e il suo assorbimento. Quindi in caso di diete scorrette, di età avanzata, utilizzo di antibiotici o di consumo regolare di grandi quantitativi di caffè sarà ancora più importante aumentarne le quantità di Inositolo.
-è stato ormai osservato di come i più diffusi tumori, come quello al colon e al seno, compaiano in quei pazienti che già soffrono di malattie metaboliche (diabete, ipertensione, obesità). Se leghiamo lo sviluppo delle malattie metaboliche ad una dieta squilibrata e povera di fibre e inositolo, ecco che potremmo correlare una dieta povera di fibre con un aumento del rischio sia di malattie metaboliche che di cancro. Infatti nelle cellule tumorali e diabetiche, l’inositolo sarà carente. In più l’inositolo ha anche un potere pro-apoptotico verso le cellule cancerose, bloccandone quindi la loro proliferazione.
-infine la capacità chelante dell’inositolo potrebbe dare dei vantaggi nella prevenzione dei calcoli renali e della formazione di microcalcificazioni al seno, grazie alla sua capacità di inibire la formazione dei cristalli di ossalato di calcio.
Bibliografia:
-Dinicola Simona et al.- Nutritional and Acquired Deficiencies in Inositol Bioavailability. Correlations with Metabolic Disorders – int J Mol Sci 2017
In questo articolo vi vorrei parlare di quanto la salute ormonale sia strettamente correlata alla nostra salute psico-fisica e di come l’alimentazione può venirci in soccorso in caso di un’alterazione dei dosaggi ormonali, in particolar modo degli ormoni sessuali.
Una scorretta produzione degli ormoni sessuali (FSH, LH, estrogeni, progesterone, testosterone) può portare a varie sintomatologie, dalle più alle meno gravi, come: acne, stanchezza, ansia, irsutismo, ritenzione idrica, eccesso di grasso a livello di fianchi e gambe, ovaio micropolicistico, infertilità…
In base alle alterazioni riscontrate l’intervento alimentare sarà differente. Per esempio eccessi di estrogeni possono essere causati da una dieta squilibrata per eccesso di carboidrati (soprattutto semplici), per eccesso di grassi trans (margarine e grassi idrogenati), o carenza di proteine, grassi, Mg, Zn, Cu e vit. B. Quindi un primo passo sarebbe quello di andare a ristabilire il giusto equilibrio tra macro- (carobidrati, proteine, lipidi) e micro nutrienti (vitamine e Sali minerali). Un secondo passaggio è quello di utilizzare alcuni alleati che la natura ci mette a disposizione per ridurre i livelli di estrogeni, come:
-le crucifere, che grazie all’indolo-3-carbinolo, diminuiscono la produzione endogena di estrogeni e in più ne ostacolano l’assorbimento.
-melagrana che ha attività antiestrogeniche
-crisina, è un flavone, molto rappresentato nel miele e nel propoli, che ha la funzione di inibitore delle aromatasi. Le aromatasi sono degli enzimi che convertono gli androgeni in estrogeni, particolarmente espresse durante i tumori mammari ed altri tumori ormoni sensibili. Bloccandole si avrà una diminuzione dei livelli di estrogeni.
-semi di lino, grazie all’alto contenuto di lignani, anch’essi aventi un effetto antiestrogenico.
-latte e latticini diminuiscono i livelli di estrogeni, mentre i latticini ricchi in grassi stimolano la produzione di LH.
Quando invece si hanno ridotti livelli di estrogeni allora la dieta dovrà seguire altri criteri. Per esempio la produzione di estrogeni è fortemente legata alla percentuale di massa grassa; una bassa percentuale di massa grassa è accompagnata da una ridotta produzione di estrogeni, quindi diete troppo restrittive non sono da perseguire. In più aumentare il consumo di tè verde e ridurre la caffeina può aiutare a ristabilire i livelli di estrogeni.
In questo articolo vi ho riportato solo alcuni esempi e criteri da seguire a livello nutrizionale in caso di alterazioni ormonali. Come potete ben capire non è così semplice stilare una dieta e i fattori da tenere in considerazione sono davvero tanti. Per questo, soprattutto in caso di alterazione e disfunzioni di qualunque genere, affidatevi sempre ad uno specialista della nutrizione e non a diete fai da te o prestampate, che non possono tenere conto in nessun modo delle esigenze individuali.
Bibliografia:
– Keewan Kim, et al.- Dairy Food Intake Is Associated with Reproductive Hormones and Sporadic Anovulation among Healthy Premenopausal Women – J nutr 2017feb;147(2):218-226
-Schliep KC et al.- Caffeinated beverage intake and reproductive hormones among premenopausal women in the BioCycle Study – Am J clin nutr 2012 Feb; 95(2):488-97
Come promesso nello scorso articolo oggi tratterò della dieta antinfiammatoria!
La prima cosa importante da sottolineare è che l’infiammazione in realtà è un processo fondamentale nel nostro organismo che permette l’eradicazione di eventuali agenti patogeni che hanno causato un danno, o semplicemente interviene durante la riparazione di una lesione. L’infiammazione è quindi indispensabile e benefica quando è acuta, come nel caso di un’influenza o di un infortunio. Il problema sorge nel momento in cui a causare l’infiammazione è un fattore (es. dieta proinfiammatoria, obesità, sindrome metabolica, etc…), che permane nel tempo, continuativo e ripetuto, che genera un’infiammazione cronica, spesso silente. L’infiammazione cronica di basso grado è quella a cui dobbiamo prestare attenzione perché può essere l’innesco di molte patologie, che svilupperemo in base alla nostra personale predisposizione (malattie autoimmuni, neurodegenerative, metaboliche come il diabete, cardiovascolari…). E qui entra in scena la dieta antinfiammatoria con la quale è possibile contrastare l’insorgere delle patologie sopra citate e quindi preservare il proprio stato di salute.
La prima regola per una buona dieta antiinfiammatoria è abbassare i livelli di acido arachidonico, un derivato degli acidi grassi omega 6, dal quale si producono trombossani e prostaglandine (alcune delle molecole responsabili dell’infiammazione). Quindi il primo passo di una dieta antinfiammatoria dovrebbe essere quello di abbassare il rapporto omega 6/omega 3, e questo è possibile aumentando l’introito di acidi grassi omega 3 i quali si trovano nei semi di lino, sardine, sgombri e in generale nel pesce azzurro.
Secondo fattore da tenere in considerazione è la quantità di radicali liberi. Essi sono delle molecole particolarmente reattive che generano danni cellulari. Di fatto lo stress ossidativo si trova alla base di molti disturbi cronici-degenerativi. I radicali liberi si formano in grandi quantità a causa di un ambiente altamente inquinato (smog, fumo di sigaretta) di una dieta scorretta, di un eccesso di esercizio fisico e quando si ha un’insufficienza epatica. La salute del nostro fegato è infatti indispensabile e tutto ciò che ne altera il buon funzionamento porterà un conseguente accumulo di radicali liberi. Quindi una dieta antinfiammatoria dovrà prevedere la salvaguardia epatica. Quindi niente alcol, abuso di farmaci, e soprattutto NO a qualsiasi tipo di sovralimentazione che porterà ad un accumulo di grassi a livello epatico.
Il modo migliore per contrastare i radicali liberi è seguire una dieta ricca di antiossidanti, soprattutto se pratichiamo molto sport. Quindi via libera ad alimenti ricchi in vitamina C (kiwi ed agrumi), A (alimenti arancio-rossi), E (oli vegetali, frutta secca a guscio), selenio (pesce e molluschi) e polifenoli (tè verde, frutti rossi, cacao, pomodori…).
Infine ricordiamo che l’insulina va ad attivare le desaturasi, degli enzimi che portano alla produzione di acido arachidonico, che come dicevamo poc’anzi è uno dei fattori maggiormente proinfiammatori. Quindi una dieta antiinfiammatoria è obbligatoriamente una dieta che tiene a bada l’indice glicemico e il carico glicemico.
Nello scorso articolo abbiamo trattato l’osteoporosi e di quanto la sua prevenzione o cura sia ben lontana dall’esclusivo utilizzo di vitamina D. infatti tutto ciò che accade nel nostro organismo è spesso complesso e multifattoriale, perciò agire considerando un unico fattore potrebbe risultare un grosso scivolone terapeutico.
Tra i vari fattori che avevo considerato come predisponenti allo sviluppo di questa condizione, c’era il prolungato utilizzo degli inibitori di pompa protonica, meglio noti come gastroprotettori. Questo farmaco utile a breve termine per il trattamento del reflusso gastroesofageo e per l’eradicazione dell’H. Pylori in corso di ulcera peptica, è anche usato per la prevenzione e il trattamento delle lesioni da FANS (antinfiammatori). Ricordiamo che i gastroprotettori come qualsiasi buon farmaco che si rispetti, ha una serie di effetti collaterali, soprattutto se assunti per lunghi periodi, come l’induzione di carenza di vitamina B12, Calcio, Ferro e Magnesio. Ciò significa che un uso protratto nel tempo porterà ad osteopenia, osteoporosi, anemia e, a causa dell’ipomagnesemia, a spasmi muscolari, debolezza, vomito etc…
Quindi se non volete incappare in una situazione di chiodo scaccia chiodo, dove non si fa altro che sostituire delle problematiche con delle altre, allora forse bisogna cambiare punto di partenza. Magari bisognerebbe iniziare dal cambiare le proprie cattive abitudini, magari si potrebbe iniziare a fare qualche attenzione a tavola e iniziare a muoverci di più. Ricordiamoci che esistono delle diete specifiche per chi soffre di reflusso gastroesofageo o per chi soffre di patologie infiammatorie. La terapia farmacologica purtroppo risulta essere la via più veloce e più semplice, ma dubitate sempre della strada più facile e facciamo in modo che la terapia farmacologica venga sempre inserita come secondo step e non come primo.
Chiudo l’articolo informandovi che per tutte le patologie infiammatorie esiste una dieta mirata che in molti casi da ottimi risultati. La dieta antinfiammatoria sarà la protagonista del mio prossimo articolo!
Rimanete collegati e buon week end!
L’osteoporosi consiste in una diminuzione della densità ossea con aumentata probabilità di incorrere in frattura. Ad oggi un altissimo numero di persone ne soffrono o iniziano ad avere i primi segni di osteopenia. In questo articolo vi darò delle brevi nozioni e curiosità su tutto ciò che c’è da sapere sull’osteoporosi. Insommma un vademecum che può chiarificarvi alcune idee su questa patologia:
1- Supplementi di calcio possono essere utili per la cura dell’osteoporosi ma possono aumentare il rischio di patologie cardiache mentre è stato dimostrato che il calcio assunto con la dieta non è legato all’aumento di questo rischio. Quindi prestate attenzione alla vostra alimentazione se soffrite di osteoporosi.
2- L’utilizzo prolungato di inibitori di pompa aumentano il ph gastrico inibendo l’assorbimento del calcio e di altri minerali (ferro, magnesio…), così come alcuni antinutrienti presenti nelle fibre (fitati), nel caffè e nel tè (tannini).
3- Negli ultimi anni è stato dimostrato che il metabolismo dell’osso è influenzato negativamente anche dal diabete, dislipidemia, ipertensione, malattie croniche renali, che provocano un aumento dello stress ossidativo e l’accelerazione della glicazione
4- Anche l’iperomocisteinemia dovuta alla deficienza delle vitamine B6 e B12 e B9, è legata all’aumento di fratture anche se è un fattore indipendente dalla densità ossea.
5- Vitamina D e K sono essenziali e dovrebbero sempre essere prescritte quando con la dieta non si riescono ad assumere in quantità adeguate
6- Carenze di vitamina K danneggiano la carbossilazione dell’osteocalcina. Ricordiamoci che l’osteocalcina è la proteina legante il calcio più abbondante nelle ossa. Carenze di osteocalcina sono associate a fragilità ossea. Integrazione di vit K2 in donne in menopausa con osteoporosi rilevano un miglioramento della densità ossea e una minore incidenza di fratture.
7- Studi hanno dimostrato che carenze ed eccessi di vitamina D aumentano nella stessa maniera lo sviluppo di calcificazioni aterosclerotiche. Si deve fare però una distinzione tra il tipo di vitamina D utilizzata nella terapia, se dei precursori o la vitamina D attivata.
8- La densità ossea migliora svolgendo delle attività ad alto impatto. Il picco di densità ossea si raggiunge intorno ai 18 anni, quindi è importante la scelta dell’attività fisica soprattutto durante la fase di accrescimento.
9- La menopausa, a causa della diminuzione degli estrogeni, comporta una perdita ossea aumentata anche di 10 volte maggiore rispetto al periodo premenopausa.
10- Abuso di fumo, alcol e utilizzo di cortisonici diminuiscono la densità ossea
Tirando le somme possiamo dedurre che integrare con la vitamina D è importante, ma che spesso può non essere sufficiente visto i molti fattori che possono andare ad influenzare lo sviluppo dell’osteoporosi.
Se avete voglia di approfondire l’argomento ecco alcuni articoli interessanti!
Bibliografia:
-Vitamin D Deficiency and Exogenous Vitamin D Excess Similarly Increase Diffuse Atherosclerotic Calcification in Apolipoprotein E Knockout Mice
-Vitamin k2 therapy for postmenopausal osteoporosis
-UK clinical guideline fot the prevention and treatment of osteoporosis
Vi siete mai chieste cos’è la cellulite? ricordate che per la risoluzione di qualsiasi problema il primo passo rimane la sua conoscenza! Quindi senza dilungarmi troppo cercherò di darvi una breve spiegazione su cos’è la cellulite e sulla sua patogenesi!
Il termine corretto da utilizzare in realtà non sarebbe “cellulite” bensì PEFS (panniculopatia edemato fibro sclerotica), le cui cause sono certamente molteplici, anche se il fattore principale sembra essere l’alterazione del microcircolo, con ipertrofia degli adipociti e uno squilibrio tra i meccanismi di accumulo e smaltimento dei depositi lipidici. In parole povere? Nei casi fisiologici, il tessuto adiposo è riccamente vascolarizzato e questo permette continui scambi tra il sangue e gli adipociti che permette una buona salute del tessuto adiposo. In caso di cellulite invece, a causa di un’alterazione del microcircolo e di un aumento del volume delle cellule addette all’accumulo dei lipidi, questi scambi vengono alterati, portando ad un aumento degli scambi tra il tessuto al sangue e non più dal sangue al tessuto. Si crea così un’inondazione dello spazio interstiziale che porta ad una disorganizzazione degli adipociti che generano a livello estetico una disomogeneità della zona interessata. Una volta che l’adipocita è diventato ipertrofico (ha aumentato il suo volume) e il microcircolo è alterato si viene a creare una situazione di ipossia (poco ossigeno) che altera il metabolismo cellulare (le cellule avranno difficoltà nell’utilizzare come substrato energetico i lipidi) provocando una riduzione di pH e danno radicalico. Questa situazione tende a far peggiorare il quadro della cellulite, finchè, nello stadio finale dell’evoluzione della patologia si assiste alla formazione di aeree metabolicamente indipendenti. Una sorta di buco nero in cui tutto ciò che entra non riesce ad uscire.
Logicamente esistono delle condizioni che possono favorire l’insorgenza della cellulite come: predisposizione genetica, utilizzo della pillola anticoncezionale, iperlordosi, piede piatto, ginocchia valghe, gravidanza, ridotto apporto idrico, aumento dello stress con ipercortisolemia, alterata situazione idro-salina (soprattutto a carico del sodio) e stipsi ostinata.
Beh e ora che sappiamo più o meno di che si tratta, la domanda rimane: ci sono dei comportamenti che possiamo attuare per migliorare la nostra situazione? E la risposta è assolutamente si! Ecco qui una serie di dritte che vi potranno aiutare:
-fare sport per migliorare il microcircolo
-seguire una dieta ipocalorica per diminuire il volume degli adipociti
-scegliere alimenti alcalinizzanti per contrastare l’abbassamento del pH e sempre per lo stesso motivo evitare le diete chetogeniche.
-seguire una dieta ricca di antiossidanti per combattere il danno radicalico.
-bere molto! ricordiamo che quando siamo ipoidratati il nostro organismo interpreterà questa situazione come un segnale di siccità. Farà quindi partire una serie di meccanismi di compensazione che tenderanno a trattenere acqua.
-seguire una dieta iposodica e a basso indice glicemico
-seguire una dieta che cerchi di ripristinare una buona efficienza metabolica e che risolvi la stitichezza
-evitare l’utilizzo di pantaloni stretti e scarpe con i tacchi
-diminuire o quanto meno imparare a gestire lo stress in modo tale da abbassare i livelli di cortisolo. Ricordiamoci che alti livelli di cortisolo, soprattutto serali, sono collegati ad una diminuzione della massa muscolare ed un aumento dell’insulina.
È ormai da tempo che si sente parlare di dieta chetogenica. Cerchiamo di capire insieme di cosa si tratta, in modo tale da scegliere con maggiore consapevolezza questo piano alimentare.
La dieta chetogenica per essere definita tale necessita della produzione di corpi chetonici. I corpi chetonici sono delle molecole che si formano quando c’è carenza di glucosio. A questo punto mi dispiace dirvi che è necessario parlare un po’ di biochimica per rendere il quadro più chiaro:
Solitamente le cellule svolgono un metabolismo aerobio, ciò significa che da una molecola di glucosio se ne formeranno due di piruvato che entrando nel mitocondrio si legheranno ad una molecola di acetil Co-A iniziando una serie di reazioni (ciclo di Krebs) che produrranno energia sotto forma di ATP. Ma cosa succede se sto seguendo una dieta chetogenica e non ho glucosio a disposizione? L’acetil Co-A non potendo reagire con il piruvato si legherà ad un’altra molecola di acetil Co-A generando i corpi chetonici (aceto acetato, idrossi butirrato e acetone). La formazione di questi composti, in un momento considerato dal nostro corpo come di emergenza (digiuno, dieta iperproteica e a basso contenuto di carboidrati), risulta essere fondamentale soprattutto per il nostro cervello. Le cellule cerebrali infatti utilizzano come fonte energetica quasi esclusivamente glucosio. Quando esso viene a mancare purtroppo gli acidi grassi (utilizzati come fonte energetica dalla maggior parte delle cellule), non sono in grado di attraversa la barriera ematoencefalica e non possono quindi essere utilizzati come fonte energetica alternativa nelle cellule cerebrali. I corpi chetonici, riescono invece ad attraversare questa barriera, fungendo da substrato energetico di emergenza per il nostro cervello.
La prima cosa che salta agli occhi è che questa dieta provoca una situazione di emergenza nel nostro corpo e quindi non è attuabile per lunghi periodi di tempo. I corpi chetonici abbassano il PH, ciò consuma le nostre riserve di tamponi (sostanze chimiche che riequilibrano il PH) della massa magra provocando una diminuzione della densità ossea e aumentando la probabilità di sviluppare osteoporosi; acidificano il tessuto connettivo, deputato all’eliminazione degli scarti cellulari, e che se alterato porta ad un deposito di materiale di scarto e degenerazione cellulare dei tessuti (es: cellulite). inoltre la dieta chetogenica tende ad affaticare reni, fegato ed apporta carenze nutrizionali quindi può essere adottata solo da soggetti sani e giovani per brevi periodi di tempo.
Quali sono i vantaggi derivanti da una dieta chetogenica? Nel breve tempo comporta una perdita di peso leggermente più veloce rispetto alla classica dieta mediterranea, può migliorare il quadro glucidico in persone che hanno problemi di iperglicemia e insulino resistenza e infine viene utilizzata per il trattamento di pazienti epilettici che non rispondono alle terapie farmacologiche.
Concludo lasciando delle mie considerazioni! La dieta chetogenica non essendo un piano alimentare attuabile per lunghi periodi dovrà comunque essere sostituito da una dieta maggiormente equilibrata, quindi non deve essere intesa come unica strategia di dimagrimento soprattutto se i chili da perdere sono tanti. La sua celebrità è andata di pari passo con la demonizzazione dei carboidrati, a causa di un eccessivo consumo, nei paesi occidentali, di alimenti ricchi in zuccheri semplici. Sicuramente un abuso di prodotti industriali ricchi di zuccheri sono alla base di obesità e malattie infiammatorie ma non per questo i carboidrati vanno eliminati dalla nostra alimentazione. Verdura, frutta, legumi e cereali integrali sono ottime fonti di carboidrati complessi necessari per il metabolismo cellulare soprattutto se si è sportivi.
Dagli articoli precedenti che ho pubblicato sappiamo che lo sportivo necessita di maggiori quantità di proteine, sali minerali e vitamine. Nell’articolo odierno parlerò invece di sostanze ergogeniche, cioè di quelle sostanze che aumentano il lavoro muscolare e in generale migliorano la prestazione atletica. Da premettere che riguardo questi prodotti c’è molta disinformazione e spesso abuso; infatti nella maggior parte dei casi l’effetto di queste sostanze non è supportato da studi scientifici e non sono altro che delle trovate commerciali.
Qui di seguito riporterò alcune delle sostanze i cui effetti sono stati confermati da lavori scientifici:
– le maltodestrine sono degli integratori di carboidrati, ricavati dall’idrolisi degli amidi. Il loro impiego lo ritroviamo prima, durante e dopo gli allenamenti di endurance. Quindi in tutte quelle attività dove si ha la necessità di ripristinare le scorte di glicogeno muscolare ed epatico. La lunghezza delle catene polisaccaridiche delle maltodestrine possono essere di varia lunghezza. Questa lunghezza determinerà la destrosio equivalenza (D.E.) e di conseguenza l’indice glicemico del prodotto. Maggiore sarà la D.E. e minore sarà la lunghezza delle catene polisaccaridiche. Minore è la lunghezza delle catene polisaccaridiche e più velocemente verranno assorbite. In base all’attività, alla sua durata e al momento in cui si decide di effettuare l’integrazione verrà fatta la scelta della D.E. più adatta. Un ultimo consiglio, per una migliore assimilazione le maltodestrine dovrebbero essere assunte in soluzioni con densità media del 10%, in pratica su 500ml di acqua non si dovrebbero assumere più di 50g di maltodestrine.
– il Ginseng contiene dei principi attivi detti saponine che migliorano la prestazione fisica grazie a tre meccanismi principali:
1- permettono l’utilizzo preferenziale degli acidi grassi, risparmiando le riserve di glicogeno.
2- diminuiscono la sensazione di fatica aumentando la resistenza allo sforzo.
3- favoriscono il recupero dopo un esercizio fisico
Dosaggi: 2g di radice di ginseng (30-40mg di ginsenosidi)
-La caffeina può migliorare le prestazioni atletiche aerobiche attraverso un aumento della disponibilità dei lipidi e risparmio del glicogeno muscolare. Esiste però una provata assuefazione al prodotto. Quindi se volete beneficiare dei vantaggi che la caffeina vi può donare non bisogna essere abituali consumatori di caffè o altre bevande contenenti caffeina.
Dosaggi:200-350mg di caffeina 1 ora prima dell’attività fisica.
-Il bicarbonato di sodio è un alcalinizzante quindi il suo ruolo principale è quello di aumentare le riserve di tampone del corpo umano. In parole povere aumenta la capacità del nostro corpo di smaltire l’acido lattico prodotto durante quelle prestazioni che durano da 1 a 7 minuti. Per le prestazioni anaerobiche alattacide o per sport di endurance l’integrazione risulta inutile.
Dosaggi: 0,2g per kg di peso corporeo da assumere da 1 a 3 ore prima dell’esercizio.
-Il coenzima Q 10 è parte integrante della catena respiratoria mitocondriale (il centro di produzione di energia della nostra cellula), quindi è fondamentale per la bioenergetica cellulare. Solitamente i livelli di Q 10 negli sportivi sottoposti ad intensi sforzi fisici sono più bassi e livelli diminuiti di Q 10 portano ad un peggioramento della prestazione, collegato con la mancanza di recupero, insorgenza di astenia e crampi.
Una sua somministrazione, in atleti sotto intenso allenamento, ha riscontrato:
1-maggiore capacità di lavoro
2-potenza media più elevata
3-diminuzione di acido lattico
Dosaggi: 100-150mg al giorno per 4 settimane.